Un blog di avventure vissute, viaggi, esperienze fuori dall’ordinario in tanti paesi, opinioni e indicazioni. Il mondo è differente: clima, gente, natura, erroneamente pensiamo che il mondo sia più o meno uguale ma non è cosi. La vita può essere enormemente ricca di nuove esperienze, di scoperte e d’intense avventure. La televisione di reportage esotico non basta, la conoscenza da Xerox è illusoria perchè la mappa non è il territorio, al contrario l’esperienza del nuovo e l’antropofagismo culturale amplia la mente e dissolve il conformismo. Sperimentiamo l’intenso così da poter dire: "Ho vissuto cose che voi legati al mediocre conosciuto non potete neanche immaginare".
lunedì 11 giugno 2012
LA CIA IN GUATEMALA
Tra posts di sports, viaggi, avventure nel mondo, suggerimenti su come rendere la propria vita avventurosa, intensa e piena di emozioni, continuo presentandovi saltuariamente dei resoconti di mie esperienze avventurose o per lo meno fuori dall'ordinario. In questo post vi racconto di quando ero in Guatemala.
Quando mi trasferii in
Guatemala provenendo da Montevideo rimasi qualche settimana in hotel cercando
casa in affitto, stava iniziando un nuovo periodo di avventure, questa volta in Centro America.
Trovar casa non era facile, io ero
esigente, la volevo completamente ammobiliata e con un bel giardino.
Inoltre per ragioni di
sicurezza doveva essere vicino al mio ufficio (il Paese “scottava”: dittatura
travestita da democrazia, guerriglia, rifugiati, sequestri, per il mio lavoro
avevo direttamente a che fare con tutto ciò).
Finalmente affittai da una
signora la villa nella quale viveva lei era disposta a trasferirsi in un
appartamentino per integrare le sue entrate con i miei dollari.
Bella casa, moderna su di
un piano con saloni, camino, tutta una parete di vetro che dava sul grande
giardino con fontana, ammobiliata in stile un po hollywoodiano ma niente male,
grande area dove lasciare il motoscafo da corsa che dall’Italia mi aveva
accompagnato prima a Montevideo ed ora sino a lì e che mi avrebbe seguito anni
dopo in Brasile.
La casa era vicina al mio
ufficio che si trovava all'ultimo piano dell'edificio più moderno della città,
due torri gemelle con shopping center nella “zona 10”, appositamente non mostravamo segnali
identificativi, placche o citofoni con nome e se non si conosceva il percorso
non si riusciva ad arrivare sino alla nostra porta.
Portieri e guardiani
avevano l'ordine di non sapere nulla di noi.
Tra altre cose ci
occupavamo di far uscire rifugiati politici dal Paese e da quelli vicini:
Honduras, San Salvador, Nicaragua, Panama...
Erano tempi difficili ed
eravamo nel mirino della polizia segreta militare, dei contras, di infiltrati
di altri paesi, di servizi più o meno ufficiali, in teoria protetti
dall'immunità diplomatica che in pratica non contava nulla. Poco prima del mio
arrivo avevano sequestrato e fatto fuori l'Ambasciatore tedesco, poi freddarono
per strada di giorno un mio amico diplomatico del Nicaragua, sequestrarono una
suora della missione americana che rilasciarono quando gli States (che sono lì
vicino e in quattro e quattr'otto con un saltello ti arrivano sotto casa che
nemmeno te ne accorgi) iniziarono a far
la voce grossa... non c'era da scherzare.
Io ero il Capo Missione ad
interim, il mio omologo se ne stava quasi sempre a Panama, non so realmente
bene perché ne a fare cosa...
Per le attività che
riguardavano i rifugiati lavoravo in sinergia e stretto coordinamento con la
missione della Croce Rossa Internazionale (C.R.I.), riuscivamo a fare uscire
dal paese gli oppositori politici al regime diretti in Svezia e Norvegia dove
venivano accolti. Questioni di urgenze umanitarie e tanto.
Il capo missione della
“C.R.I.” era l'amico Jean Pierre, cenavamo spesso insieme, a volte a casa mia,
a volte nella sua. Una di quelle notti gli buttarono una bomba in ufficio. Esplose
creando crepe nelle cose e nella nostra tranquillità fatta della cartapesta
dell’illusoria invulnerabilità.
Avrebbe potuto succedere a
me.
I nostri telefoni erano
controllati e quando avevamo bisogno di parlarci per lavoro ci si doveva per
forza incontrare.
Il mio tragitto
casa/ufficio e viceversa veniva spesso cambiato, procuravo strade diverse ed
alternative, insomma cercavo di migliorare le mie chances.
La sensazione di essere sul
filo del rasoio, un brividino nella schiena, un po di paranoia, ma poi passava
tutto, non ci si pensava più di tanto e si era soddisfatti del lavoro compiuto,
ne abbiamo salvati tanti...
Non sempre però le cose
erano così pulite.
Un giorno mi arriva un fax
dalla mia sede centrale a Ginevra chiedendoci di avviare un programma di
trasferimento negli Stati Uniti di centinaia di ex militari nicaraguensi della
passata dittatura del generale Somoza ricercati e minacciati di morte dal nuovo
regime sandinista.
La faccenda non mi piaceva
per niente: il generale Somoza era stato il dittatore più spietato, violento e
cruente della storia occidentale moderna, non mi piaceva aver a che fare con i
suoi militari che avevano materializzato le paure più nascoste, i fantasmi di
violenze archetipe, i peggiori spiriti del male.
D'altra parte sono sempre
stato contro la pene di morte e se li volevano far fuori era meglio portarli via
da lì.
Sempre da Ginevra mi si
chiedeva di lasciare a disposizione di funzionari dell'Ufficio Migrazioni degli
U.S.A. tre stanze del mio ufficio. Mai successo roba simile, cos'era sta
storia?
Inizia il programma,
arrivano i funzionari americani, iniziano ad arrivare gli ex (?) militari
somozisti per essere poi trasferiti negli Stati Uniti come rifugiati.
Brutte facce, brutti corpi,
brutte anime, gli uni e gli altri.
Guardavo quei militari di
Somoza e mi chiedevo quante persone quel tipo aveva ucciso con le proprie mani,
torturato, seviziato, donne, bambini, insomma le usuali cose che succedono
sotto una dittatura militare e, ripeto, quella era stata la peggiore di tutte.
Guardavo i funzionari
americani che mi sembravano più agenti della C.I A. che non dell'immigrazione.
Bingo! Più tardi venni a
sapere che era stato proprio così.
Per farla breve: il governo
americano aveva pensato bene di provvedersi di una forza di primo intervento
militare nella regione latinoamericana per invasioni e cose simili senza
rischiare nelle fasi iniziali perdite
sul campo di cittadini americani. Naturalmente di sicura fede anticomunista.
Gli ex somozisti erano
perfetti per questo e sarebbero stati accolti e riaddestrati in caserme negli
U.S.A.
Poi successe l'invasione di
Panama, di Grenada....
Questo programma non
risultò scritto in nessun “Annual Report” ufficiale, ne nostro ne
dell'immigrazione U.S.A., non era mai esistito.
Nessuna relazione ai membri
del Consiglio del mio Organismo Internazionale che essendo governativo doveva
render conto ai rappresentanti degli Stati membri.
Mi dissero che io non c'ero
e se c'ero dormivo.
Non verranno mica adesso a
rompermi le scatole perché lo racconto dopo tanti anni, no?
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