Era un Paese politicamente “Non allineato” di frequente in profondo disaccordo con la politica degli Stati europei e che cercava una propria indipendente via di sviluppo. Non chinava il capo o si arruffianava i potenti. Mi piaceva ascoltare il loro Presidente nelle dichiarazioni e discorsi in occasione di visite ufficiali nei Paesi europei: era chiaro, diretto ed esplicito, senza farisaici giri di parole comunicava chiaro chiaro ciò che pensava, pane al pane, vino al vino, gli altri capi di Stato che lo ascoltavano cercavano far finta di niente, erano in imbarazzo, spiazzati da quella schiettezza alla quale non erano abituati. Al suo confronto sembravano dei pagliacci, il nostro poi...
Un blog di avventure vissute, viaggi, esperienze fuori dall’ordinario in tanti paesi, opinioni e indicazioni. Il mondo è differente: clima, gente, natura, erroneamente pensiamo che il mondo sia più o meno uguale ma non è cosi. La vita può essere enormemente ricca di nuove esperienze, di scoperte e d’intense avventure. La televisione di reportage esotico non basta, la conoscenza da Xerox è illusoria perchè la mappa non è il territorio, al contrario l’esperienza del nuovo e l’antropofagismo culturale amplia la mente e dissolve il conformismo. Sperimentiamo l’intenso così da poter dire: "Ho vissuto cose che voi legati al mediocre conosciuto non potete neanche immaginare".
sabato 21 luglio 2012
MI TRASFERISCO AD ALGERI
Mi ero messo in testa che ad Algeri dovesse sempre fare un caldo
dannato. Era ormai l'inizio della primavera ed avevo di conseguenza riempito la
valigia di indumenti leggeri. Cosa c'era di più idoneo del leggero fine cotone
o del fresco lino per immergersi nel caldo del maggior Paese africano, dominato
dal Sahara che riempie tutto di sabbia, spazzato dai venti con nomi di macchine
sportive, dove il popolo è scontroso, diffidente ed ostile (i famosi barbari
burberi Berberi!) dove si va in carcere se si beve una bevanda alcolica, un
Paese che si muove al ritmo dei cammelli e dove ti accecano se osi appoggiare
gli occhi su di una donna? Giusto?
Dopo poche ore dal mio arrivo scoprii che faceva un freddo cane, le
persone si spostavano in auto e non in cammello ed erano d'una estrema
gentilezza, che la città non era spazzata da venti che possedevano il loro nome
molto prima delle nostre macchine sportive, scoprii che era produttore di buoni vini venduti e bevuti nei locali pubblici
insieme a birra, whisky e gin, che le belle donne non erano sotto vetro e che ad Algeri mica ce n'era di sabbia. Si prospettava non sgradevole oltre che un viaggio avventuroso.
Parbleu incroyable! Buono a sapersi!
Veramente sorprendente fu scoprire come di questa immensa nazione a
due passi da noi con la quale abbiamo importanti accordi e scambi commerciali
non se ne parli mai. Sembrava che nel Mediterraneo vi fosse un buco nero. Come
se là non succedesse mai niente dalla fine della guerra di liberazione dalla
dominazione francese. Come se ogni anno non ci fossero centinaia di morti
civili vittime dei terroristi che un mese mettono una bomba nel cinema e
nell'altro in uffici amministrativi o in un mercato del centro.
Era un Paese politicamente “Non allineato” di frequente in profondo disaccordo con la politica degli Stati europei e che cercava una propria indipendente via di sviluppo. Non chinava il capo o si arruffianava i potenti. Mi piaceva ascoltare il loro Presidente nelle dichiarazioni e discorsi in occasione di visite ufficiali nei Paesi europei: era chiaro, diretto ed esplicito, senza farisaici giri di parole comunicava chiaro chiaro ciò che pensava, pane al pane, vino al vino, gli altri capi di Stato che lo ascoltavano cercavano far finta di niente, erano in imbarazzo, spiazzati da quella schiettezza alla quale non erano abituati. Al suo confronto sembravano dei pagliacci, il nostro poi...
Da noi naturalmente c'era il silenzio stampa su quelle visite.
Ma l'Algeria doveva fare i conti con i gruppi terroristici tra i più cruenti e sanguinari
che ci siano mai stati.
Solo molti anni prima in Perù negli anni 80 al tempo di “Sendero
Luminoso” avevo visto pazzia e ferocia simili.
Ero stato inviato in Algeria dal nostro Ministero degli Esteri come
esperto nel progetto di aiuto alle vittime del terrorismo. Dovevo sviluppare un
piano di formazione per gli operatori sociali e sanitari nazionali impegnati
con le vittime sopravvissute.
Venti chilometri da Algeri verso Sud in direzione delle montagne
c'è la cittadina di Benthallà, poche decine di migliaia di abitanti, case di
uno o due piani, normale, con poco traffico, negozi e commerci sparsi qui e là,
una cittadina come tante, senza fracasso, ma quasi dimessa e racchiusa in se
stessa: nascondeva ai propri stessi ricordi ciò che era difficile anche solo
concepire. Poi durante la notte il passato si faceva reale ripresentandosi nei
sogni, nelle ombre, nei pianti e nel dolore.
Era lì la mia sede di lavoro nel centro per l'aiuto alle vittime
del terrorismo che occupava una serie di edifici in un'area abbastanza vasta:
un'istituzione gestita da una Ong algerina che attuava su tutto il territorio
nazionale.
Il centro era stato istituito in quella piccola città e non ad
Algeri per una specifica ragione: un anno prima proprio lì era accaduto il
fattaccio.
Una notte scesero dal loro rifugio stabile sulle montagne distanti
solo poche decine di chilometri. Non si sa bene in quanti terroristi fossero.
Era buio quando giunsero a Benthallà, la città già dormiva nel silenzio e
nell'oscurità di una piccola provincia. Per prima cosa si occuparono del posto
di polizia, fu rapido e facile grazie all'effetto sorpresa, uccisero tutti in
pochi minuti. Poi si preoccuparono di tagliare i cavi telefonici e di bloccare
le vie che uscivano dal paese. L'intera città e i suoi abitanti furono allora
alla loro completa mercé: per tutta la notte sino al mattino passarono casa per
casa inseguendo ed uccidendo senza distinzione coloro che incontravano, che
fossero adulti o bambini, anziani, donne o infanti. Fu una carneficina
spaventosa, se ne andarono all'alba lasciando in poche ore dietro di sé 800
cadaveri e un'intera città sotto shock, sporca di sangue, di grida, di dolore e
di morte.
Quando finalmente arrivarono i soccorsi trovarono e videro cose che
mai avrebbero potuto immaginare: parti umane sparse nelle vie, bambini
carbonizzati nei forni dei panettieri, rigagnoli di sangue per ogni dove, topi
che profanavano ciò che non era più riconoscibile.
Nessuna famiglia fu risparmiata, ognuno ebbe qualcuno dei suoi
trucidato in quelle ore di orrore totale, ognuno dei suoi abitanti dovette
correre nel terrore della notte per sfuggire ai mostri armati di machete.
Qual'era la logica di tutto quello? Ingenuamente mi chiedevo perché
non attaccassero i militari, i politici, la polizia, gli oppositori ideologici,
in poche parole i “nemici”? Perché le loro vittime erano i normali cittadini,
la popolazione senza discriminazione? Erano molti anni che andava avanti così
mi dissero, c'era il semplice scopo di creare il terrore, l'insicurezza,
l'estremo senso di vulnerabilità, l'instabilità. Più le loro azioni erano
trucide più servivano allo scopo: il fine non era uccidere bensì orripilare e per questo erano molto più
efficaci le estreme mutilazioni nella società civile che non la semplice morte
dei loro oppositori.
Con lo stesso scopo anni prima in Perù una città si svegliò
osservando centinaia di cani squarciati appesi ai lampioni dagli attivisti di
Sendero Luminoso.
Per questa ragione il centro per l'aiuto alle vittime del
terrorismo era stato istituito proprio lì.
Erano arrivati da tutta l'Algeria una quarantina di operatori
specializzati tra psicologi, psichiatri, assistenti sociali ed esperti in
medicina comunitaria per partecipare al mio corso di formazione che decisi
avrebbe riguardato gli interventi psicosociali negli stati di stress post
traumatico.
La popolazione era immobilizzata dal gelo dei propri pensieri che si
erano cristallizzati influenzando anche il corpo: gli occhi erano fermi mentre
invece avrebbero dovuto muoversi, le lingue si appiccicavano al palato quando
sarebbe stato bene che parlassero, le mani non disegnavano le emozioni che così
facevano ancora più male ed il dolore era erroneamente considerato un fatto
personale.
Io cercavo di dare gli strumenti per affrontare tutto ciò e per
proteggere chi li avrebbe dovuti utilizzare.
Ma finalmente verso sera l'autista con la macchina che mi era stata
messa a disposizione mi riportava ad Algeri e spesso per schiarirmi la mente e
rilassarmi facevamo un giro turistico per la città.
Algeri è chiamata a ragione “La bianca”. Si scende verso il centro
città percorrendo una larga strada con molte curve che passa al lato di
palazzi, musei, residenze e sedi ufficiali con giardini e belle architetture moresche quasi sempre dipinte di
bianco. Più in basso anche gli edifici del centro, case d'appartamento, palazzi
ed uffici sono bianchi, la maggior parte risalenti all'epoca della
colonizzazione e di questa ne portano i segni distintivi con portoni,
scalinate, atrii e finestre caratteristicamente francesi.
Camminando per il centro vedevo bellissimi portoni che nascondevano
ingressi scrostati e malandati, belle case dalle forme pretenziose con inusuali
linee curve e decorazioni di pregio immancabilmente bianche ma abbandonate
all'incuria, a volte addirittura rovinose. Era veramente tutto bianco e
decrepito.
Se non fosse stato per l'azzurro del cielo, per il sole splendente
e per il rumore del traffico avrebbe potuto perfettamente essere la capitale
dei fantasmi più tradizionali, quelli dei cartoons col lenzuolo bianco e i
cigolii delle giunture che svolazzano a dieci centimetri dal suolo facendo i
loro versi di sempre.
A me piaceva.
A volte frequentavo una sala da the con soppalco, non tanto per la
bevanda in sé ma piuttosto perché frequentatissimo dalle studentesse di una
università vicina, belle ed allegre come lo si è a quell'età in una giornata di
sole. Avevano gli stessi nasi e petti importanti che avevo visto alle ragazze
di Palermo e delle quali erano probabilmente parenti lontane di secoli.
Poi attraversando la strada entravo in una grande
birreria-ristorante con nostalgia di bevande più sostanziose dopo aver bevuto
tante tisane ma non essere riuscito ad incontrare una compagna per dividere la
cena in compagnia.
A volte cenavo quindi nel piccolo appartamento che mi avevano messo
a disposizione, altre volte in ristorantini scelti a caso cercando pur nella
solitudine di non pensare alle ragioni e agli argomenti della mia giornata di
lavoro. Rimandavo tutto al domani.
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