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Un blog di avventure vissute, viaggi, esperienze fuori dall’ordinario in tanti paesi, opinioni e indicazioni. Il mondo è differente: clima, gente, natura, erroneamente pensiamo che il mondo sia più o meno uguale ma non è cosi. La vita può essere enormemente ricca di nuove esperienze, di scoperte e d’intense avventure. La televisione di reportage esotico non basta, la conoscenza da Xerox è illusoria perchè la mappa non è il territorio, al contrario l’esperienza del nuovo e l’antropofagismo culturale amplia la mente e dissolve il conformismo. Sperimentiamo l’intenso così da poter dire: "Ho vissuto cose che voi legati al mediocre conosciuto non potete neanche immaginare".

sabato 1 dicembre 2012

VIAGGIO A BUENOS AIRES





Quando andai per la prima volta a Buenos Aires abitavo e lavoravo a Montevideo.
Per fare il viaggio ci sono tre modi: in aereo, in auto facendo un lunghissimo giro o via fiume attraversando l'enorme foce del Rio de la Plata che fa da confine tra l'Uruguay e l'Argentina.
Non utilizzai mai l'aereo, feci il tragitto in auto o in aliscafo ( v'è pure un servizio di traghetto che impiega 9-10 ore).
La foce del fiume è tanto grande che anche arrivati a metà della traversata manca ancora molto prima di intravedere l'altra sponda. Si ha realmente l’impressione d’essere in alto mare con onde corte e pericolose perchè provengono da ogni lato. L'aliscafo che va a manetta ci mette circa 3 ore partendo da Colonia, cittadina sulla sponda uruguaiana.
Volendo invece fare tutto il viaggio in automobile dopo essere arrivati a Colonia provenendo da Montevideo è necessario risalire il fiume per decine e decine di chilometri sino ad arrivare a un ponte che lo attraversa molto più a monte per poi ridiscendere l’altra sponda sino ad arrivare a Buenos Aires. Decisamente più lungo e stancante che non prendere l'aliscafo.
Giusto quando abitavo in Uruguay fu istituita la Commissione Bi-Nazionale Argentina-Uruguaiana per la realizzazione di un mega ponte che da Colonia potesse raggiungere direttamente Buenos Aires.
Opera ciclopica ben maggiore che non il ponticello sullo stretto di Messina tanto caro al nostro psiconano. 
Era fortemente voluta nell'intento di favorire l'integrazione regionale e fortificare l'unione del Mercosud che allora includeva l'Uruguay, l'Argentina, il Paraguay e il Brasile.
Ci lavorai pure io in quanto l’Organismo Internazionale del quale facevo parte si sarebbe occupato dello studio degli aspetti migratori, della ricollocazione delle popolazioni dell'area, degli effetti socio economici sugli abitanti di quella regione e via dicendo.
Grande volontà politica ed entusiastico appoggio di ambo i Governi. Partecipai a numerose riunioni con Ministri, Direttori Generali di imprese statali ed alti funzionari.
Alla fine non se ne fece mai nulla.
Speriamo succeda così anche per il nostro ponticello calabro-siciliano.
Ci fu un periodo nel quale andavo spesso a Buenos Aires sia perché saltuariamente mi prendeva il desiderio della “città grande”, sia per fare acquisti.
Montevideo pur essendo una capitale di notevoli dimensioni (all'epoca circa 1,5 milioni d'abitanti, la metà di tutto il Paese) era per noi appena arrivati dall'Europa un po, come dire, “provincialotta”.
Buenos Aires oltre ad essere una vera megalopoli (oltre 10 milioni d'abitanti) offriva molto di più sotto vari aspetti. Bella città, se ne notava immediatamente l’influenza europea nelle architetture delle vie e dei palazzi. Vi erano caffè e locali da ballo antichi e preziosi con decorazioni ricchissime e raffinate come da noi non se ne vedono più. Vi si respirava atmosfere d’ante guerra aiutati nell’incanto dalle note del tango di Gardel. Non era raro osservare anziani clienti vestiti di gala con la brillantina nei capelli e le scarpe di vernice, le signore con boa di piume di struzzo, collane di perle e tacchi alti. Ballavano appassionati trasmettendo emozioni intense non dimenticate ed ancora attuali: le profonde nostalgie degli immigrati sopportate con l’aiuto della determinazione al riscatto e dall’orgoglio antico di chi sa da dove proviene. Bevendo Absinto in bicchieri di vetro soffiato in paesi lontani seguivamo i passi di danza e le storie che raccontavano. I legni del pavimento segnavano il ritmo delle battute ricompensando gli sforzi dei ballerini. Ci sarebbe piaciuto seguirli ma non ne avevamo appreso l’arte e ci dispiaceva. Ogni volta ci riproponevamo di rimediare ma non realizzammo mai quel desiderio e continuammo ad essere sempre solo spettatori.
Uscendo da quei locali ancora ammaliati e sognanti incontravamo una realtà difficile e crudele: in quei mesi l'Argentina era arrivata al culmine di una crisi economica spaventosa con indici d'inflazione e svalutazione della sua moneta impensabili in Europa ai giorni nostri.
Per gli uruguaiani, ed ancor più per me che guadagnavo in dollari, era estremamente conveniente passare il fine settimana a Buenos Aires e fare shopping ma gli argentini soffrivano nuovamente incubi del passato.
Ricordo una volta che vi andai in auto in compagnia della mia quasi fidanzata Marina, figlia dell'Ambasciatore italiano, con Lorenzo anch'egli dell'Ambasciata e sua moglie Silvia.
Nel fare acquisti in una zona commerciale osservammo cosa offriva un negozio e i prezzi della merce, poi facendo due passi guardammo un negozio concorrente. Decidemmo d’acquistare nel primo negozio visto. Voltammo e con nostro stupore scoprimmo che i prezzi erano già cambiati in pochi minuti.
La svalutazione era tale che il cambio con il dollaro mutava minuto per minuto (come scoprimmo anche fermandoci davanti alla vetrina d'una banca che esponeva le quotazioni in tempo reale).
I negozi cambiavano i cartellini dei prezzi con ritmo frenetico. Noi apprendemmo a cambiare in banca la valuta poco poco per volta, diciamo ogni mezz'ora. Folle.
Tutto per noi costava pochissimo, ricordo che un giorno mi capitò l'occasione di poter comprare una bellissima barca a vela sui 15 metri con l'equivalente del mio stipendio di 2 mesi.
Anche molte delle persone abbienti del paese passavano momenti difficili e per mantener in piedi la baracca svendevano i beni che avevano a prezzi irrisori, case, macchine, barche, gioielli ed opere d'arte. I soldi erano pochi, i compratori meno ancora, le proprietà di valore rimanevano invendute, i prezzi reali (in dollari) crollavano e il numero di suicidi era enorme.
Fui molto tentato, avrei potuto trasformarla nella mia casa itinerante, perfetta per un giramondo, un grande sogno, non lo feci sia perché mi sembrava d'approfittarmi delle disgrazie altrui (ma forse avrei potuto così salvare il proprietario dal fallimento) sia per eccessiva prudenza e penso che mi sbagliai.
Al contrario di quanto dice il proverbio: a volte la prudenza è troppa. Si vede che non me lo meritavo.
Andavamo spesso a pranzare all' “Estancia”, ristorante ben nel centro città, molto frequentato. Grandi tavolate, enormi barbecues a vista, deliziosi profumi di carne alla brace che servivano in tavola su mini barbecues di ghisa. Ordinavamo “baby beef, bife de chorizo, cinchulines...”. Qualità di carne fantastica come non ne ho mangiato in nessun' altra parte del mondo. Non ho mai provato la carne giapponese “Kobe” che costa un occhio della testa, dicono che sia in assoluto la migliore, chissà.

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